Girando tra i vari blog, mi sono imbattuta nel post di Perseide, che, a sua volta, si è ispirata alle parole di Willy Wonka.
Grazie, perché mi avete spinta a scrivere questo articolo, che avevo in mente già da qualche giorno. Dovevo solo trovare l’input giusto per farlo, e il segno che aspettavo è arrivato.
Solitamente, nella vita, io non lascio correre, e, da quando sono (più o meno) un’adulta, cerco di esprimere sempre ciò che penso. Il mio ragazzo mi ripete spesso quanto io delle volte sia esagerata; a volte, mi dice lui, è meglio stare in silenzio e lasciar correre, piuttosto che esprimere la propria opinione, magari in situazioni che non lo richiedono. Ammetto che ogni tanto ha ragione, che (saltuariamente) il silenzio e l’indifferenza sono simbolo di maturità. Ma questa è un’altra storia. Io sono convinta che le ingiustizie meritino sempre una voce, che combatterle sia fondamentale. Ora potrei dilungarmi a raccontare un milione di casi in cui mi è capitato di assistere a scene raccapriccianti di offese riprovevoli a danni di sconosciuti, o in cui sono addirittura stata vittima stessa di cattiverie da passanti ignoti.
Mi limiterò a raccontarne uno, che riguarda me.
Ho sempre amato il cibo, sin da piccola, e mia madre mi racconta spesso di come gli altri bambini, al ristorante, si alzassero per giocare tra loro, lasciando i loro piatti ancora pieni, mentre io rifiutavo di alzarmi fin quando non avevo ripulito per bene la mia porzione. Da bambina ero cicciottella; da adolescente, invece, sono arrivata a pesare 100 kg, per 162 cm di altezza. Una piccola botte dai capelli neri, insomma. A nulla sono valsi i tentavi di mia madre (povera, santa, donna!) di mandarmi dal dietologo e dallo psicologo. Io mangiavo ancora di più. Il cibo per me era un malato meccanismo di difesa dal mondo esterno; io mangiavo più degli altri, quindi ero più forte. Venivo presa in giro e a volte picchiata dai compagni di classe. Non avevo amici, e non potevo mettere vestiti alla moda. La tuta da ginnastica era il solo indumento che mi entrasse, e il cibo l’unico amico. Più venivo derisa ed isolata, più mangiavo e ingrassavo, schiava di un circolo vizioso malato che mi stava uccidendo. E’ anche per questo, forse, che non sono mai riuscita a coltivare una vera passione e a capire chi fossi, vittima di insicurezze profonde che mi perseguitano ancora oggi, nonostante abbia ormai raggiunto quasi del tutto il mio peso forma. Le poche amiche che ho mi chiedono come faccia ad essere così insicura. “Sei bellissima!”, mi dicono, “con questi occhi grandi da persiana e questo viso!” A volte credono che mi sminuisca così solo per ricevere attenzioni e complimenti, che, al contrario, altro non fanno che tormentarmi. Un giorno un amico mi ha detto la frase più bella che abbia mai sentito dire da uomo: “Hai un viso che sembra disegnato da Dio.” Le sue parole mi hanno commossa, ma subito dopo ho creduto che mi stesse prendendo in giro, o che volesse solo qualcosa in cambio. Gli atti di bullismo che ho subito non mi hanno mai permesso di uscire dalla mia corazza, facendomi credere che non fossi adatta a fare nulla, e che non meritassi di diventare qualcuno nella vita. Ho sempre creduto che la felicità non fosse per me, che i ciccioni non ne fossero degni. Episodi simili, avvenuti negli anni decisivi dell’adolescenza, plasmano l’adulto che sarai. Ma anche questa è un’altra storia.
L’episodio su cui mi voglio concentrare riguarda tanti anni fa, ma è come se fosse successo ieri. Avevo forse 15 anni, ed ero al centro commerciale con mia mamma e i miei fratelli. Mamma ci ha comprato una piadina a testa, perché è ora di cena e abbiamo fame; i miei due fratelli sono anche più piccoli di me. Io non dovrei mangiarla, ma mamma non se la sente di farmi guardare mentre i piccoli mangiano, e di insalata neanche a parlarne. Sono felice, mi gusto la mia piadina mentre passeggiamo, diretti all’uscita per raggiungere la macchina. Passa un gruppo di ragazzi, credo abbiano la mia età, 17 anni al massimo. Mi guardano. Mi batte forte il cuore: nessun ragazzo mi guarda mai, non rientro nei loro canoni estetici. Penso che, forse, non sono così brutta e grassa, che qualcuno potrebbe anche innamorarsi di me.
Sono sempre stata un’inguaribile romantica, e ho sempre fantasticato su un amore da favola, vittima di infinite ore solitarie a leggere romanzi nella mia cameretta.
Uno di loro mi urla: “Smettila di mangiare, cicciona di merda, che ingrassi ancora di più!” Si sente un coro di risate cattive. Mia mamma mi stringe la mano, i miei fratelli mi guardano increduli, con profondo dispiacere. Ho il cuore a pezzi, mi si riempiono gli occhi di lacrime e un calore violento mi irradia le guance. Mi vergogno, mi sento una nullità, tanto che vorrei solo sprofondare sotto terra. Mi sento morire; è un’umiliazione troppo forte per me, che sono così orgogliosa. Ancora adesso, mentre scrivo, mi si stringe lo stomaco, e mi vedo ancora lì, triste e sola, e mi chiedo perché. Perché questa cattiveria gratuita, da chi nemmeno mi conosce? Questo evento mi ha segnata a vita, ma loro non lo sanno.
E’ facile giudicare, ma che cosa conosciamo davvero noi degli altri? Loro sapevano perché soffrivo di obesità? Erano consapevoli dei miei problemi, della mia situazione psicologica?
E’ troppo facile giudicare il prossimo senza neanche conoscerlo. E’ troppo facile buttare fuori cattiverie gratuite, non immaginando neanche lontanamente cosa provocheranno nel bersaglio prescelto per la propria violenza.
Come ho scritto all’autrice del blog “Willy Wonka”, vittima di parole non pesate, e buttate fuori con malignità, dovremmo cercare di non offenderci l’un l’altro. Lo schermo ci fa sentire protetti, e la tastiera ci permette di comunicare concetti che non sempre riusciremmo ad esprimere a voce. Ed è per questo che bisognerebbe usare questa piattaforma per fare del bene, per confrontarci e arricchirci, e non per ferirci.
Anche qui siamo solo un mare di sconosciuti, e a volte il nostro cammino si incrocia su questa strada virtuale. Leggere le nostre parole non significa comprenderci appieno, e non dovrebbe concederci la facoltà di sputare sentenze. Mettiamo in atto un concetto di condivisione positiva, arricchendo le nostre esistenze, donandoci spunti di riflessione.
Anch’io sono un essere umano, e neanche io sono immune dall’esprimere giudizi sugli altri. Tuttavia, cerco, per quanto mi è possibile, di mettermi nei panni del prossimo, riflettendo sul motivo di determinati atteggiamenti.
L’empatia è una bellissima attitudine. Cerchiamo di praticarla più spesso.
“Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai nulla. Sii gentile, sempre.”
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